A proposito della SILVANA NENCINI

Il giardino della memoria

Domenica, 23 gennaio 2022 è morta SILVANA GENNAI. Era nata a Rignano sull’Arno il 7 aprile 1929, aveva sposato Antonio Nencini e nella nostra parrocchia tutti la conoscevano come “la SILVANA NENCINI”.

Questi sono tempi in cui si nasce e si muore in incognito: solo le campane della Chiesa informano chi le sa ascoltare se è un giorno di gioia o di tristezza, ma quando muore una persona la cui umanità ha superato i confini della famiglia e ha illuminato, scaldato, rallegrato e aiutato chi si rivolgeva a lei, bisogna conservarne la memoria e l’esempio: l’elogio funebre ci consola della sua perdita e ci fa comprendere la fortuna che ci è stata data di averla avuta fra noi.

SILVANA NENCINI era una di queste persone e il vuoto che si è creato si riempie delle voci di chi l’ha conosciuta più da vicino: se si ascoltano bene raccontano la sua vita, ma anche quella della nostra parrocchia.

Per primo il ricordo più viscerale, di chi l’ha conosciuta più da vicino, quello del figlio Maurizio.

Dopo quello di coloro che vorranno mandare la loro personale testimonianza raccontando qualcosa “a proposito della Silvana Nencini”.

Il coltivatore di ricordi

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La Silvana la potrei descrivere con tre sole parole: una gran rompiscatole!!

Detto questo, se io sono quel che sono, come uomo intendo, lo devo esclusivamente a lei, perché fin da piccolo mi ha dapprima sorvegliato e poi insegnato le cose vere della vita, i comportamenti giusti da tenere, ma soprattutto l’onestà in tutte le sue declinazioni.

Non era una donna facile da gestire: come poteva esserlo una donna votata al comando e desiderosa di avere tutto sotto controllo? Certo è che ha sempre vissuto per gli altri e molto poco per sé stessa.

Ricordo perfettamente quando da casalinga – io ero piccolo – faceva volontariato presso la segreteria dell’ANFFAS (Ass.ne Naz.le Famiglie Fanciulli Subnormali), mi pare fosse in via Ricasoli: spesso mi portava con sé, facendomi “subire” la vista di quei ragazzi che ai miei occhi parevano davvero strani e mi mettevano paura.

Poi cominciò ad assistere Paolo Naldi, che abitava nelle case popolari di via Erbosa, dal quale anche Delio Donnini faceva volontariato. Prima con alcune ore giornaliere e poi notti su notti. Accadeva che spesso venisse avvertita oltre le 20.30: allora, senza battere ciglio, s’infilava qualsiasi cosa, pur di arrivare velocemente, per non lasciare Paolo da solo. Spesso il povero Antonio – il mio babbo – s’arrabbiava di brutto, perché anche lui era anziano. Le domandava chi lo avrebbe aiutato se si fosse sentito male. La risposta della Silvana era sempre la stessa: “A te un t’ammazza nemmeno i tedeschi!!!”

La costanza per gli impegni presi era per lei una cosa sacra, così come andare all’Istituto San Giuseppe, la casa delle suore francescane dell’Immacolata in via Datini, dove c’era l’asilo che io ho frequentato con suor Ludovica, per accompagnare quelle vecchiette – come le chiamava lei – alla Messa, oppure a fare una giratina spingendo le loro carrozzine.

Potrei dire di come ha assistito per oltre 40 giorni mia zia, la sorella di mio padre, che abitava a Siena, in una situazione difficile in quanto la poveretta soffriva come una bestia, costretta a letto da un femore rotto e da un tumore al pancreas.

Ecco, la Silvana faceva tutte queste cose con una naturalezza disarmante, senza mai lamentarsi, come se fosse tutto normale. Insomma, ha sempre messo gli altri avanti a tutto. Qualche volta anche prima della famiglia, ma certo a me non è mai mancato il suo sostegno, il suo amore e la sua capacità di ascoltarmi quando avevo qualche problema che mi affliggeva.

Oltre a questo, devo dire che era una “perfettina” in tutto quello che faceva: teneva sempre la doppia contabilità di tutto, dalla Ditta alle banche, dai conti familiari alle cose da fare. Tutto doveva essere sempre sotto controllo. A tal proposito mi torna alla mente quando nei primi anni ’80 convinsi il Babbo ad acquistare l’antesignano del moderno computer, quello che allora si chiamava “elaboratore elettronico”, in modo da poter gestire in automatico il magazzino e l’emissione delle fatture. Gli feci spendere quanto comprare una Porsche, ma ero sicuro che ci avrebbe facilitato molto il lavoro ed avrebbe sollevato la mamma dall’emettere tutte le fatture a mano.

Dopo questo importante investimento, una sera – mentre io e il babbo aspettavamo sul marciapiede che anche lei uscisse per poter chiudere – le urlai di fare veloce a vestirsi, perché avevo fretta di tornare a casa. A tale richiesta ebbi come risposta: “Aspetta 5 minuti che arrivo!”

Dopo che quei 5 minuti erano diventati 10, mi decisi a rientrare in magazzino per capire perché non arrivasse: con stupore, la vidi seduta alla scrivania con le fatture davanti e la calcolatrice in movimento. Per farla breve, era lì che ricontrollava se l’elaboratore elettronico avesse fatto bene i conti e rifaceva tutti i conteggi a mano, fattura per fattura. Tralascio quello che le dissi, ma credo che questo episodio renda bene l’idea di che donna fosse!

A tutto questo, aggiungo la Casa della Gioventù e l’insegnamento della dottrina, come la Silvana chiamava il catechismo: la parrocchia era la sua seconda casa, anzi, spesso la “prima”, come diceva i’ mi’ babbo. Era il suo mondo e per quel mondo avrebbe fatto qualsiasi cosa, come uscire improvvisamente di casa per portare le chiavi della Cdg a Don Averardo che non le trovava, oppure perché lo stesso si era dimenticato di avvertirla di una riunione e lei doveva aprire e rimanere al bar da sola, aspettando che la riunione finisse. Questo accadeva a tutte le ore e in tutte le stagioni: con il caldo, il freddo e la pioggia.

Che io ricordi non ha mai detto NO a nessuna cosa che le venisse richiesta. Ecco, questa era la Silvana, una donna piena di energia e voglia di fare, felice di aiutare e di sentirsi utile. Previdente come una formica, mai attratta dai salti nel buio.

Quando tornò dai Falciani, ormai costretta in carrozzina, mi consegnò due lettere che avrei dovuto aprire dopo la sua morte. Purtroppo ho dovuto aprirle e, al di là di quella dedicata a me, che solo a scriverlo mi viene da piangere, nell’altra vi era un elenco cronologico dove c’erano scritte tutte le cose che dovevo fare, dove erano situate le carte che mi sarebbero servite, ma soprattutto le sue ultime volontà e come fare per riunirla al babbo in un unico spazio eterno.

Era dispiaciuta del fatto che da viva, ed avendo un figlio, non poteva acquistarlo e che tale spesa, me la sarei dovuta accollare io…aggiungendo però, subito dopo, che tutto sommato, sarebbe stata poca cosa rispetto a quello che lei aveva speso per me…

Tenera, ironica e sfrontata allo stesso tempo. Sono strafelice che abbia potuto conoscere le sue bisnipoti, che non abbia mai sofferto e che fino all’ultimo abbia conservato la lucidità per riconoscermi, permettendomi di emozionarmi davanti al suo sorriso che, sebbene giorno dopo giorno sembrasse meno convinto, veniva sostituito dai suoi teneri sguardi.

Non nascondo che scrivere queste cose mi abbia parecchio emozionato, perché posso garantire che non avrei potuto desiderare madre migliore della Silvana Gennai sposata Nencini.

                                                                                                                           Maurizio